Penta poiesis
L’effigie
Vedo, o caro, il volto tuo avvizzito
trapassare una goccia di rugiada.
Veloce come il furore di un temporale estivo
lento come il rifrangersi di un’onda immaginaria.
Ci si è intravisti in sogno,
abbagliati come uscendo dalle tenebre alla luce.
L’infante
Scorgo in te i miei occhi di fanciullo
abbeverato al tuo seno di velluto.
Osservo come insetto assetato
disteso su un petalo di rosa.
L’assenza
Gli occhi miopi altro non vedono che l’assenza.
La memoria scolpisce nuove fattezze
nell’immenso marmo del pensiero.
Di te, ora, brandelli di luce
sul fondale oscuro della realtà.
Istanti
Mi chiedono di te.
Ora che sei trapassata nella mia memoria
mi domandano cosa ne è stato di quelle notti sospese,
istanti che sembravano durare per sempre.
Abbiamo fallito, incapaci di resistere siamo crollati come fragile volta.
I monti suscitano l’alba e sussurrano che, dopo tutto, ci siamo voluti bene.
Il tempo
Di questo tempo niente mi resta,
se non le mani tremanti e ancora calde del tuo viso.
Di tutto questo tempo, fuggito lesto come preda che si salva,
altro non rammento che sorrisi e canti.
Di quest’ora così vagheggiata
attendo gli abbracci che mi sono mancati.