Socrate

Socrate

A cura di Giuseppe Cetorelli

“So di non sapere”

“Conosci te stesso”

La vicenda biografica di Socrate è strettamente correlata a quella filosofica. Nacque ad Atene nel 470/469 a.C , figlio di Sofronisco (scultore) e di una levatrice (Fenarete). Pensatore straordinario e maestro di Platone ed Aristotele (anche se di quest’ultimo non lo fu direttamente). Non scrisse nulla, ritenendo la ricerca filosofica possibile solo in presenza di un dialogo vivente tra gli interlocutori. In sostanza conosciamo Socrate in maniera mediata, attraverso le opere dei suoi discepoli. Platone, Senofonte, Aristotele e Aristofane sono coloro che ci hanno presentato la figura del grande patriarca della filosofia; l’immagine che ciascuno di loro ci ha fornito è diversa e, quelle di riferimento, fanno capo a Platone (le migliori) e Aristotele. Il quale descrive Socrate nella sua veste più oggettiva, priva di ornamenti e significati simbolici. La testimonianza meno attendibile e forse, semplicistica, ce la offre Senofonte. Senofonte era un generale, non uno scrittore né tanto meno un filosofo e nei suoi scritti di guerra emerge la mano di un dilettante della scrittura (volutamente ridondante). L’effige di Socrate, così, ne esce malconcia poiché incentrata non sul pensiero ma su gli atti di valore compiuti in battaglia. Aristofane è quello che per ragioni anagrafiche più si avvicina a Socrate, nelle sue opere ci parla di un uomo di quarant’anni estremamente acuto, fine osservatore della natura ma con la testa un pò tra le nuvole. L’esempio palmare è tratto da Le nuvole, commedia di Aristofane nella quale il maestro viene descritto come un sofista facondo ma al contempo vacuo. Possiamo affermare a ragione che il ritratto peggiore lo dipinge proprio Aristofane, che di mestiere faceva il commediografo. La sua professione era quella di far ridere e Socrate, anche a causa della sua notoria bruttezza si prestava ai suoi artistici sberleffi. La voce più alta è quella di Platone, i suoi dialoghi delineano la figura di un pensatore profondissimo. Platone fu suo allievo diretto e con lui condivise sempre l’idea della filosofia come ricerca inesausta. La conoscenza di cui Socrate dichiarava di essere in possesso era quella di non sapere : “So di non sapere”, questa frase viene attribuita da Platone a Socrate nell’Apologia.

Socrate fu dapprima scultore come il padre, fu poi soldato nel corso della guerra del Peloponneso e pritano nel Consiglio dei cinquecento (e fu, nell’esercizio della sua carica, l’unico ad opporsi al giudizio sommario degli strateghi vincitori alle Arginuse, che erano stati accusati di non aver salvato naufraghi e feriti dopo la battaglia). Dal punto di vista filosofico, pare accertato che in un primo tempo Socrate seguisse le tesi dei filosofi della physis, passando poi – certamente sotto l’influsso della sofistica – a quel pensiero e a quel modo di indagine che ci sono stati tramandati dalle pagine platoniche e senofontee. Il suo insegnamento, spregiudicato e tagliente, dovette apparire pericoloso agli occhi  degli Ateniesi conservatori, che lo accusarono di corrompere i giovani e di non credere agli dèi della patria, in sostanza l’accusa fu quella di empietà (399 a.C). Fu processato e condannato a morte: nel corso del processo, Socrate sostenne in modo appassionato le sue opinioni, senza cedimenti e senza scendere a compromessi (il resoconto della sua autodifesa ci è stato tramandato da Platone, in uno degli scritti suoi più belli : l’Apologia di Socrate, citata poc’anzi).  Rifiutò di fuggire dalla prigione, su invito di Critone, nella quale era rinchiuso, persuaso che alle Leggi della città, per quanto ingiuste potessero essere, fosse dovuta obbedienza, e attese con serenità la morte, discutendo di filosofia con alcuni discepoli (nel Critone e nel Fedone, Platone ci ha lasciato appunto la testimonianza viva di queste vicende). Dopo la morte di Socrate, i suoi discepoli diedero vita a scuole di pensiero diverse, in polemica tra loro circa l’interpretazione più corretta del pensiero del maestro. Oltre all’Accademia, fondata da Platone (vedi monografia su Platone), devono essere qui ricordate la scuola cinica, fondata da Antistene nel IV secolo a.C. e durata fino al IV secolo d.C.; quella megarica di Euclide (fondata a Megara e sviluppatasi anche in età ellenistica), quella cirenaica di Aristippo (fondata a Cirene, la scuola non ebbe molta fortuna, e in età ellenistica declinò rapidamente, soppiantata da quella epicurea).  

Come tutti sanno Socrate afferma continuamente di non sapere. Ma questa affermazione è ben lontana dall’essere un atto di modestia, anche se tale può sembrare ai più sprovveduti. Egli infatti vuol dire che intorno a lui non c’è nulla che gli consenta di sapere: né leggi, nè consuetudini sociali, né credenze religiose, né principi morali, né dottrine di filosofi. Giacché il “sapere” è conoscenza ferma, incrollabile, incontrovertibile – il “sapere” è cioè la verità -; e, invece, tutte quelle conoscenze e regole, una volta esaminate, si rivelano o gratuite (ossia affermate e praticate senza che si sappia veramente perché le si affermi e le si pratichi), o addirittura contraddittorie (tali cioè che vengano esse stesse a negare ciò che intendono affermare). Per Socrate dichiarare di non sapere significa dunque che nessuna delle convinzioni umane a lui note gli si presenta come verità – nemmeno quelle che esplicitamente intendono valere come verità filosofica di contro alle semplici opinioni, e nemmeno quelle (proprie dei sofisti) che presumono porsi come la eliminazione definitiva di ogni verità. In questo senso, la critica di Socrate alla società è ancor più radicale di quella dei sofisti; e la condanna di Socrate da parte della società ateniese è la naturale reazione e difesa di una società che avverte di essere minacciata nel modo più pericoloso. Non so. Ma “so di non sapere”. La differenza che Socrate pone tra sé e gli altri è appunto questa : che gli altri non sanno di non sapere, mentre lui sa di non sapere. Sa cioè che la società e la cultura in cui vive non corrispondono all’idea di verità che i primi pensatori hanno portato alla luce, e quindi sa che cosa sia quella verità di cui egli rileva l’assenza: gli è cioè presente l’idea della verità. Ma saper di non sapere non significa soltanto aver presente l’idea della verità, ma essere nella verità. La verità rinasce su un piano diverso, proprio nell’atto in cui ci si rende conto di non sapere, cioè di non possedere la verità: la verità è ora appunto la verità della critica e del rifiuto di tutto ciò che si va scoprendo privo di verità. E’ una verità povera, ma è anche una verità che si dispone a diventare ricca, nel senso che è il mettersi alla ricerca di quel vero sapere che ora si sa di non possedere. L’Oracolo aveva detto a Socrate che era il più sapiente dei Greci; e Socrate è convinto che questa sua maggior sapienza consista appunto nel suo sapere di non sapere : ciò vuol dire che la coscienza di non sapere è intesa da Socrate come possesso della verità (l’esser sapientissimo tra i Greci esprimendo appunto questo possesso) : quel possesso che è per altro la condizione della ricerca di un sapere che non sia il semplice (ma ineliminabile) saper di non sapere.

La maieutica (alla lettera: “arte dell’ostetricia”) o metodo socratico è il modo in cui Socrate si rapporta a chi non è ancora nella verità: a costui domanda il significato e la giustificazione di ciò che egli crede di sapere. Ma l’interlocutore finisce col non saper più rispondere: perché Socrate esige da lui una risposta che in nessun modo possa venir contraddetta o infirmata; Socrate domanda la verità delle convinzioni dell’interlocutore. E la verità nasce in quest’ultimo proprio quando egli si rende conto che tutto il sapere che credeva di possedere non ha alcuna verità – quando, cioè, anche lui giunge a sapere di non sapere. L’arte della levatrice alla quale Socrate, nel Teeteto platonico, paragona il suo insegnamento, in quanto consiste nel portare alla luce le conoscenze che si formano nella mente di suoi allievi. “Io ho questo in comune con le levatrici, dice Socrate: sono sterile di sapienza; e ciò che molti da anni mi rimproverano, che interrogo gli altri ma non rispondo mai da me perché non ho alcun pensiero saggio da esporre, è rimprovero giusto” (Teeteto, Platone).  

Pubblicato da amicoproust

Giuseppe Cetorelli nasce a Roma il 10-07-1982. Compie studi tecnici e musicali. Si laurea in filosofia nel 2007 e consegue il diploma di sax in conservatorio. Appassionato di letteratura e filosofia, scrive racconti, testi per il teatro e recensioni musicali. Autore della raccolta di racconti "Camminando fra gli uomini" ha poi pubblicato un racconto in un volume collettaneo: "Il reduce" - Selenophilia (ukizero) edito da Alter Erebus. È fondatore e amministratore del blog letterario e filosofico www.amicoproust.altervista.org. È redattore del portale di attualità, informazione e cultura ukizero.com ed elzevirista de ilquorum.it. Ha rilasciato un'intervista ai redattori di occhioche.it, quotidiano online. È presente nel catalogo della rivista "Poeti e Poesia" con il racconto "Il Restauratore". È stato presidente e vicepresidente di un'associazione musicale, ha insegnato discipline musicali presso varie scuole private della regione Lazio. I suoi vasti interessi culturali e la propensione all'interdisciplinarietà lo hanno innalzato a vivace promotore di iniziative nei campi dell'arte e della letteratura.