Essere o avere

 ESSERE O AVERE

 

 

 

Leggere un libro è facile, è sufficiente conoscere l’alfabeto più o meno correttamente. Leggere nel cuore delle persone è un’impresa che in pochi riescono a compiere. Interpretare i segni che gli esseri umani si portano dietro, talvolta inconsapevolmente, è facoltà di rare anime sensibili, individui che viaggiano negli infiniti mondi interiori alle volte smarrendo la strada. Parto da questa riflessione per descrivere, deprecandolo, un comportamento sociale molto diffuso fra gli individui negli svariati contesti del quotidiano, il giudizio aprioristico o pregiudizio, che dir si voglia, può essere definito come un atteggiamento che alberga dentro ognuno di noi e, come un fiume carsico talvolta riemerge, battezzando malevolmente o benevolmente persone di cui sappiamo pochissimo, di cui conosciamo soltanto l’immagine esteriore perché presenti dinanzi a noi in un determinato frangente. Questa sconcertante superficialità, visione incentrata sul mero apparire, produce un’equazione per la quale un soggetto è quello che la sua figura suggerisce di essere a chi lo osserva. È una forma di cecità che giocoforza impedisce di abbattere il fortilizio dell’ipocrita conoscenza reciproca, in sostanza ci appiattisce su una comoda ma posticcia attività relazionale. Lo scrittore portoghese Josè Saramago, premio Nobel, descrive magnificamente l’oscurità di chi vede solo l’epidermide delle cose, in un romanzo dal titolo rappresentativo, Cecità.

Un avvocato che troviamo nel suo studio sprovvisto e della giacca e della cravatta suscita in noi una sensazione quantomeno di scarsa propensione alla compostezza, che spesso traduciamo in scarsa professionalità, ed è peraltro proprio su questa definizione preconcetta che misuriamo ogni parola, gesto, accadimento di cui si rende protagonista il nostro interlocutore. Quello che ho poc’anzi descritto è il pregiudizio negativo, che stravolge sovvertendola definitivamente l’immagine di una persona di cui non desideriamo sapere altro, pienamente soddisfatti degli elementi che in pochi istanti abbiamo raccolto, in una conversazione formale. Per contro sussiste anche un pregiudizio positivo assai pericoloso e foriero di sciagure, l’esempio più eclatante ci viene fornito dalle innumerevoli testimonianze di persone truffate da bellimbusti in pompa magna, che si presentano alla porta di quelli che vengono ritenuti soggetti deboli (definizione per la quale provo una profonda idiosincrasia) spacciandosi per emissari di chissà quale istituto bancario, società di assicurazioni o mediazione creditizia, promettendo la luna nel pozzo e paradisi di fortune, perlopiù immaginarie. Le ripercussioni negative di questi atteggiamenti sociali che flagellano l’esistenza delle genti, hanno subito una dilatazione inimmaginabile, il fenomeno si è radicalizzato ed esteso erga omnes cavalcando la credulità, o meglio la disinformazione generalizzata.

Al problema può essere applicato un ragionamento di estrazione filosofica,mai come nella fattispecie preziosa consigliera, i fenomeni che ho testè citato come esempi palmari di degenerazione sociale sono inscindibilmente connessi all’insana preponderanza dell’avere, che può essere tradotto anche come apparire, sull’essere sempre più soverchiato e annaspante. Il giudizio si concentra sul vestiario, sui titoli e credenziali sciorinate, sono questi i requisiti che volente o nolente ciascun individuo è obbligato ad acquisire, per trovare collocazione in una società dei consumi alla deriva materialista, che considera alla stregua di orpelli insignificanti le caratteristiche sostanziali e indisponibili dell’individuo. La coerenza e l’integrità, in un mondo di pròtei dal pensiero cangiante non può trovare adeguata collocazione. La facoltà di servirsi del proprio intelletto, che fu una conquista del secolo dei lumi, asseverata dal filosofo tedesco Immanuel Kant, appare oggi un flebile bagliore, una fragile speranza. Il Logos Aristotelico, che tanto ci contraddistingue nel vasto mondo animale, costituendo la nostra grandezza appare depotenziato e incapace di imporre le ragioni che gli sono proprie, cedendo all’omologazione del pensiero, terreno sul quale in passato germinarono i sistemi totalitari. La società nella quale viviamo, sembra non avere più energie sufficienti per affrancarsi dagli elementi eteronomi che la sostengono ad ogni piè sospinto, privandola di qualsivoglia azione autonoma. Un antico maestro come Blaise Pascal invitava ha riflettere, affermando nei Pensieri che “per lo spazio, l’universo tutto mi comprende e inghiotte come un punto, per il pensiero io lo comprendo”. Nell’opera apologetica lo scienziato-filosofo francese identificava come sommo bene, l’atto del pensare che può penetrare e comprendere ogni cosa.

Quando mi capita di frequentare, sempre più raramente, luoghi di attrazione collettiva laddove ad emergere è la massa non il singolo, l’immagine è quella di un’enorme ballo in maschera dove sconosciute persone si vedono, ora vicine ora lontane,alternarsi vorticosamente assecondando le rigide movenze di un regale minuetto secentesco e, dove maschere inespressive non permettono di vedere oltre il bianco,che domina i costumi rendendoli inquietanti,poiché il bianco suggerisce qualcosa di elusivo capace di generare un timore indefinibile. Si sfiorano come monadi nell’assoluta indifferenza, vicini solo perché il ballo lo impone. Vi sono individui che identificano l’essere, l’essere nel tempo per dirla con Heidegger, con l’avere o apparire, pertinacemente convinti che il mero possesso li determini come persone, li definisca agli occhi degli altri degni di stima. Nelle loro categorie di pensiero vive l’idea che l’arricchimento materiale sia l’approdo ultimo dell’umano agire.

Il possesso, il denaro, che in se stessi non costituiscono un male, hanno il potere di chiudere l’uomo in un cieco egoismo, un ripiegamento esclusivo sulla propria persona, orgogliosi di contrarre sempre di più il loro mondo. La finalità superna è quella di soddisfare ogni capriccio, ogni prurito, laido desiderio che esaurisce la sua importanza dopo il soddisfacimento e, le recenti, truculenti notizie di cronaca, altro non sono che manifestazioni di belluina superficialità e possesso fugace. Tutto questo altro non fa che intristire, quando non annichilire la generosità, alla portata di tutti ma che in pochi riescono a scovare dentro loro stessi, perché incapaci di cercarla. Le vie della generosità vengono eluse, dacché le strade da intraprendere per raggiungerla appaiono irte, piene di insidie e prevedono come elemento cardine, il sacrificio di se, per il bene degli altri. Donare parte di noi stessi, non all’altro ma al prossimo può essere difficile ma certamente non impossibile e, se riuscissimo a riservare agli altri una quantità anche minima, di quell’amore narcisistico e solipsista che connota l’ esistenza dei più, proveremmo una gioia incomparabile. Vorrei sommessamente ricordare che Gesù non nacque fra i sericei guanciali di una corte imperiale, ma in una fredda mangiatoia. Il dialettico Socrate, l’uomo più saggio del suo tempo, camminava scalzo durante i suoi insegnamenti pedestri e indossava vesti logore, non un profumato laticlavio.

Cartesio nel Discorso sul metodo, opera che segna il transito di un’epoca, indica la causa principale che impedisce di vedere l’altro per quello che è, nella scarsa propensione ad “innalzare la mente al di sopra delle cose sensibili, ed è come se per udire i suoni o sentire gli odori volessimo servirci degli occhi”. Dunque per leggere nel cuore e nell’anima delle persone e, così, approfondire lo sguardo sulle genti è necessario fare uso di mezzi congeniali a tale scopo, che non risiedono in ciò che appare immediato, ma vivono nella sfera più intima e subliminale di noi stessi.

Talvolta penso che Milan Kundera, grande narratore boemo, abbia ragione a definire l’essere come un insostenibile leggerezza (1982), a causa della quale si è portati ha non comprenderlo nei propri orizzonti, ad evitarlo per non complicarsi la vita, alle volte per non pensare. Disconoscere l’essere significa eludere il pensiero, allontanare da se la peculiarità preponderante, l’elemento che sostanzia la dignità dell’uomo.

Permettetemi ancora una volta di fare ricorso alla sapienza degli antichi maestri, questa volta ad intervenire è Lucio Anneo Seneca, precettore di Nerone, il quale a proposito di ciò che occorre saper cogliere nelle persone afferma: “Nell’uomo bisogna lodare ciò che gli è proprio. C’è chi ha schiavi prestanti, una bella casa, vasti campi coltivati, capitali molto redditizi: nessuno di questi beni è dentro di lui, ma intorno a lui. Potrai lodare in lui ciò che non potrà né essergli tolto né essergli dato, ciò che è proprio dell’uomo. Mi chiedi cos’è? E’ l’anima, e nell’anima una ragione perfetta”. Poi ancora: “Come è stolto chi nel comprare un cavallo, non esamina l’animale, ma la sella o il freno, così è tanto più stolto chi giudica un uomo o dalla veste o dalla condizione sociale, che è come una veste che avvolge la persona. Ma è sempre uno schiavo ripeterà qualcuno. Forse nell’animo è libero. E poi che male c’è ? Mostrami chi non è schiavo. Chi è schiavo delle passioni, chi dell’avarizia, chi dell’ambizione, tutti della speranza e del timore”. Estratti dalle Lettere a Lucilio num.40 e 47 vol. primo.

Pubblicato da amicoproust

Giuseppe Cetorelli nasce a Roma il 10-07-1982. Compie studi tecnici e musicali. Si laurea in filosofia nel 2007 e consegue il diploma di sax in conservatorio. Appassionato di letteratura e filosofia, scrive racconti, testi per il teatro e recensioni musicali. Autore della raccolta di racconti "Camminando fra gli uomini" ha poi pubblicato un racconto in un volume collettaneo: "Il reduce" - Selenophilia (ukizero) edito da Alter Erebus. È fondatore e amministratore del blog letterario e filosofico www.amicoproust.altervista.org. È redattore del portale di attualità, informazione e cultura ukizero.com ed elzevirista de ilquorum.it. Ha rilasciato un'intervista ai redattori di occhioche.it, quotidiano online. È presente nel catalogo della rivista "Poeti e Poesia" con il racconto "Il Restauratore". È stato presidente e vicepresidente di un'associazione musicale, ha insegnato discipline musicali presso varie scuole private della regione Lazio. I suoi vasti interessi culturali e la propensione all'interdisciplinarietà lo hanno innalzato a vivace promotore di iniziative nei campi dell'arte e della letteratura.